feb 15 - Tempo di lettura: 3 min

La pubblicità serve solo a vendere?
Oggi più che mai con l’avvento del digitale il modo di fare pubblicità è cambiato moltissimo. Le aziende possono sfruttare al massimo i media, senza bisogno di dover investire grossi capitali. Le possibilità sono davvero vaste e a rendere potenti questi strumenti è soprattutto la comunicazione non più unidirezionale, la condivisione e l'interazione fanno da padrone.
I professionisti della comunicazione inoltre hanno a disposizione strumenti molto accurati e potenti per monitorare l’impatto di un messaggio e tracciare le azioni che le persone compiono dopo averlo visto.
Oggi le aziende, per la loro stessa sopravvivenza, non possono quindi considerarsi esclusivamente produttori di beni o servizi.
In un mondo interconnesso, dove persino i marchi più inarrivabili possono conversare ogni istante con il proprio pubblico, ogni azienda è parte attiva della società: una realtà a tutto tondo, consapevole delle proprie responsabilità e delle conseguenze delle proprie azioni.
Molte ricerche indicano come le nuove generazioni, nel processo di acquisto danno la stessa importanza ai valori portati avanti da una marca e alle caratteristiche dei prodotti, esigendo trasparenza e senso civico.
Ecco il punto. In questo contesto, la pubblicità può farsi carico di compiti come:
- Avere un ruolo sociale;
- Comunicare la vicinanza a una certa causa;
- Condividere l’adesione a determinati valori;
- Affermare una presa di posizione netta circa eventi politici o sociali;
- Risaldare il rapporto con una parte del pubblico affermando i propri valori;
- Sfatare un pregiudizio relativo ad aspetti di responsabilità sociale.
Si tratta di pubblicità che non serve a vendere, certo, ma aiuta a farsi scegliere: a costruire una vicinanza con il proprio pubblico, a rafforzare un rapporto con la community, o magari a generare empatia e senso di appartenenza verso persone che in futuro, magari, diventeranno clienti proprio perché si riconoscono in determinati messaggi. Vi mostro alcuni esempi:
L'empatica Ikea trasloca insieme a Harry e Meghan.
Poco tempo fa si è tanto parlato del 'divorzio' del duca e della duchessa dalla Famiglia Reale. Ikea non si lascia perdere l'occasione per battere tutti sul tempo partecipando con ironia all'organizzazione del loro trasloco attraverso i social.

Pubblica quindi una serie di immagini ironiche dei suoi prodotti, ad esempio uno dei suoi cartoni da imballaggio marroni 'Jättene', seguito da diverse frasi: "Meghan, Harry. Vi capiamo, siamo fatti per cambiare", o "il trasloco è una fatica reale per tutti" e ne approfitta per giocare con il copy sul nome della sedia 'Harry': “Tranquilli, da noi HARRY è ancora disponibile”.
L'effetto dirompente è stato subito tale che Harry e Meghan non sono rimasti tema di conversazione da bar ma soprattutto meme carini da condividere sui social, protagonisti di abili mosse pubblicitarie sfruttate anche da Ceres con "Dopo un po' la corona stanca" e da Corona che risponde a suon di battuta con "Solo alcune corone sono irrinunciabili".
L'ironia di Ceres attiva anche nel sociale.
Un'azienda che comunica molto bene sui social battendo tante aziende sul tempo di condivisione e rimanendo attenta a ciò che le sta intorno conquistando una posizione di rilievo nel cuore di molti.
Al brand va sicuramente riconosciuto il merito di aver riportato all’interno del perimetro della comunicazione di impresa temi come: la politica, la cronaca, le condizioni di lavoro.
L'uso dell’advertising per pronunciarsi pro o contro determinati eventi in tono ironico, è funzionale a esprimersi con coraggio su molte tematiche calde, che altre aziende esitano a presidiare. È il caso per esempio del recente contenuto a commento del “Mandato zero” ideato dai Cinque Stelle.

«Quando cerchi di non pagare la prima Ceres dicendo che era la numero zero», slogan che campeggia sull’immagine di un barista alquanto minaccioso.
Domandarsi se il singolo contenuto serva oppure no ad «aumentare le vendite» significa non aver del tutto capito il paesaggio contemporaneo della comunicazione sui media.
Perché questo messaggio non ha alcuna finalità di vendita, ma è l’espressione diretta di un brand che prima di molti, in Italia, ha saputo leggere i mutamenti della società e cogliere la sensibilità delle nuove generazioni. Per questo motivo ha scelto di avvicinarsi al proprio pubblico, dimostrandosi pienamente consapevole del ruolo che un’azienda, oggi, è chiamata a esercitare nella società. E proprio per questo, alla lunga, ha vinto la guerra della reputazione.